19 aprile 2011

INNOVAZIONE IN EDILIZIA: PUBBLICITÀ INGANNEVOLE


Innovazione. Tutto parla di innovazione. Forse perché ogni cultura si concentra in modo particolare sui temi che non riesce più a mettere fuoco con chiarezza e che gli sfuggono evocando ossessivamente le parole che a quei temi danno il nome. Allo stesso modo, nei processi di trasformazione che stanno cambiando il volto di Milano non si parla altro che di innovazione: negli studi di progettazione, nelle società di ingegneria, nelle imprese di costruzioni, nelle aziende produttrici di materiali e componenti, nei cantieri aperti, la parola d’ordine è ovunque innovazione. Ma di quale            innovazione si tratta?

Non credo di sorprendere nessuno affermando che i cantieri della “grande” Milano sono tutti tesi a un’innovazione trainata con forza da una ricerca estetica orientata alla spettacolarizzazione di una architettura sempre più spesso considerata come merce da promuovere e pubblicizzare. L’innovazione tecnologica dei sistemi costruttivi e dei componenti è chiamata a corrispondere alla necessità di realizzare soluzioni architettoniche inedite, che pongono ancora una volta in termini di irriducibile contrapposizione il progetto e la costruzione. Assistiamo a una ricerca formalistica, talvolta tanto astratta che i confini tra sperimentazione e avanguardia tendono a sovrapporsi e confondersi, laddove lo sperimentalismo tende a un fine preciso e l’avanguardia all’eccezionalità e alla singolarità del gesto. Pressate da questa richiesta, le imprese e le industrie mettono a punto soluzioni di grande originalità, che tuttavia stentano ad affermarsi al di fuori della specifica applicazione per la quale sono state pensate e sviluppate: innovazioni di nicchia, per architetture di casta.

Altra è l’innovazione di cui abbiamo bisogno oggi. Una innovazione che assuma come scenario di riferimento modelli abitativi in rapida trasformazione e che affronti i numerosi problemi che ci affliggono e che attendono con urgenza risposte concrete, in particolar modo sul fronte del contenimento dei consumi energetici, del miglioramento del comfort interno e più in generale sul versante dell’ottimizzazione delle prestazioni ambientali. La necessità di assumere la ragione ecologica come ineludibile orizzonte di riferimento anche nell’ambito delle tecnologie del costruire richiede una riarticolazione del processo edilizio a partire dalla considerazione dell’intero ciclo di vita del manufatto edilizio, dall’approvvigionamento delle materie prime necessarie per la produzione dei semilavorati e dei componenti, all’uso, alla gestione, fino alla dismissione e al riciclo dei materiali.

Questa prospettiva impone un cambio di mentalità o, meglio, di cultura. Tutti i soggetti coinvolti nei processi di trasformazione delle città nelle quali abitiamo, dai singoli cittadini alle imprese di costruzioni, devono identificare nella cooperazione la modalità di confronto più adeguata per fare innovazione. Per portare a compimento il difficile percorso che consente di trasformare idee realmente innovative in prodotti i e servizi concretamente utili sono necessarie una forza che i singoli soggetti, separatamente, non possono più avere. Occorre in altre parole una cultura del progettare e del costruire che ha come punto di forza il riferimento a ciò che nella ricerca sociologica e antropologica è stata recentemente definita come “intelligenza collettiva”.

Un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una profonda mobilitazione delle risorse e delle competenze e che consente di affrontare problemi complessi senza procedere a una loro sterile riduzione. Il livello qualitativo dell’architettura oggi non dipende certo dall’originalità di nuove visioni estetizzanti, ma dall’intensità con cui si riesce a stringere il legame tra esigenze, progetto e ricerca tecnologica. Con i cantieri della “grande” Milano forse è stata persa una grande occasione.

Andrea Campioli



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