5 aprile 2011

I VOLONTARI MILANESI DELLA CIVILTÀ


La maggioranza uscente ma anche l’oppo-sizione, seppure ovviamente in tono assai minore, affrontano la campagna elettorale come i generali dipinti da Enrico Baj, mostrando il petto pieno di medaglie e nastrini: ricordo di gesta e vittorie. Eppure se Milano non è peggio di quella che viviamo lo si deve poco a loro ma a tutte le forme di volontariato che costituiscono una delle ricchezze dalla nostra città. Questi ultimi, tolto qualche Ambrogino, medaglie ne hanno rice-vute poche.

Quando però la politica parla di volontariato milanese ne mena vanto, qual-cuno ebbe persino il coraggio di proporre Milano come capitale del volontariato. Il primo a vantarsi pubblicamente di guidare una città di volontari fu il sindaco Paolo Pillitteri, ma si dimenticava, come chi l’ha seguito, di una cosa essenziale: nella maggioranza dei casi i volontari fanno quello che la pubblica amministrazione non fa o non sa fare, spesso per dabbenaggine e spesso perché dedita ad altro, più per sé proficuo. Detto in parole povere possiamo dire che più volontariato c’è e più si dimostra l’inefficienza della pubblica amministrazione.

Non è proprio una verità assoluta: spesso nel lavoro dei volontari vi è una componente di dedizione, di carità umana, di sensibilità verso i nostri simili che nessuna pubblica istituzione potrebbe mettere in campo con il semplice ricorso a personale retribuito. Non pensiamo però che il volontariato milanese sia dedito solo a quelle che potremmo definire operazioni di soccorso rispetto a bisogni fondamentali, come l’assistenza sanitaria, l’aiuto ai poveri, ai vecchi e agli emarginati. C’è anche chi si fa carico di pulire la città, come la gentile signora che spazza i giardinetti di Piazzale Baracca, o i ragazzi che vanno a pulire i bordi di rogge e canali. C’è chi insegna l’italiano agli stranieri, chi facilita l’integrazione razziale e chi va a intrattenere i bambini negli ospedali.

Il volontariato è pervasivo, niente gli sfugge nelle pieghe recondite dell’emarginazione sociale. Ma, seppure con spirito quasi rivendicativo, c’è chi pensa all’arredo urbano e al verde minuto nella città, cercando forse, senza rendersene del tutto conto, che la sua è una sorta di lotta sì per vivere personalmente meglio ma anche per lottare contro la desertificazione della città nei giorni di festa. Eppure ci sono casi ancora meno noti: i docenti universitari a contratto. Gente seria, professionalmente preparata, che le Università chiamano a coprire ruoli di docenza per compensi in concreto inesistenti e che in qualche caso non coprono nemmeno le spese vive che un docente ha per il costo dei propri spostamenti o per il materiale didattico assolutamente indispensabile. Sono molte centinaia e non fanno parte del personale docente che la ministra Gelmini considera “incistati” nel sistema universitario per cavarne qualche immeritato soldo.

È gente che, nella maggior parte dei casi, insegna per passione o per spirito di servizio. Anche di persone così è fatta Milano e di molti e molti ancora, gente responsabile, veramente “responsabile” nel sociale e non nel teatrino della politica. Peccato che, tutti insieme non formino un partito o anche soltanto un sindacato, così, tanto per avere un minimo di potere; per dimostrarlo, in fondo, basterebbe che incrociassero le braccia: si fermerebbe il Paese. Ma come spesso accade per gli scioperi, i danneggiati, le vittime, sono quelli che non hanno il potere per cambiare le cose.

La casta sa tenerli lontani, forse perché molti sono avanti con gli anni. Un popolo della cui vecchiezza si lamentano i politici ma che in fondo in fondo dà loro una grande tranquillità. Il pericolo sono i giovani, come dimostra il Sud del Mediterraneo.

L.B.G.



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