29 marzo 2011

LA VITA È TUTTA UN “LOFT”?


Il polverone sul “loft” del figlio del Sindaco, sollevato evidentemente per bassa cucina elettorale, e che comprende in realtà migliaia di Milanesi nelle medesime condizioni, potrebbe essere l’atto finale della pessima gestione delle aree industriali dismesse fatta dal Comune di Milano. Dalla delibera del 1995 sulle Aree industriali Dismesse non Strategiche, ai Piani Integrati di Intervento di oggi, la riutilizzazione di queste aree si è trascinata su due livelli di procedure: una “legale”, i Piani Esecutivi e una “para-legale” tramite DIA. Tutto questo fino ad oggi, perché con il nuovo PGT viene liberalizzato il cambio di destinazione (naturalmente a pagamento) e soprattutto viene mantenuto valido il volume esistente. Cadrebbero così le motivazioni che hanno provocato le proliferazioni dei “loft”, perché con il vecchio PRG e con la procedura del Piano Esecutivo il volume esistente veniva perso e in cambio autorizzata una densità edilizia così bassa da essere sempre inferiore a quella esistente.

La procedura “legale”, che si assoggettava alla normativa vigente di cambiare la destinazione da industria a residenza attraverso la procedura del Piano Esecutivo, era troppo penalizzante per l’operatore che vedeva concludere il suo iter burocratico non prima di 5/6 anni dalla presentazione del progetto. La procedura “para-legale” attuata da altri operatori più disinvolti attraverso una semplice DIA di manutenzione straordinaria si poteva attuare dopo 30 giorni dalla presentazione del progetto. (battaglia evidentemente persa per i Piani Esecutivi, iter burocratico da 30 giorni contro 2000 per aprire il cantiere).

La prima estenuante procedura produceva normali alloggi in case pluriplano, la seconda i cosiddetti “loft”, tipologia edilizia d’altronde assai richiesta dal mercato. Gli acquirenti di questi “loft” hanno agito con grande superficialità, vivendo come clandestini; solo ora con il PGT potranno regolare le loro posizioni pagando oneri, standard e bonifica del sedime. Non so come potrà essere adempiuto questo ultimo obbligo, ma questa amministrazione, che ha trasformato il riuso dei sottotetti in banale sopralzo di un piano, troverà certamente una altrettanto “stravagante soluzione”.

La possibile conclusione del problema “loft” permette però di fare alcune osservazioni. La prima è che, da questa operazione, alla fine esce perdente la città e il suo disegno urbano. Molte zone, che attraverso i Piani Esecutivi avrebbero potuto trasmettere una migliore qualità di vita anche alle zone adiacenti, con verde, spazi pubblici pedonalizzati e meno auto in superficie, avranno lo stesso aspetto di prima, con le stesse strade già insufficienti e un carico di nuovi insediamenti che non potranno che aggravare la qualità della vita dell’intera zona. (vedi area Richard Ginori sul Naviglio Grande). Si da così l’addio a quel rinnovamento diffuso della città, che ha trasformato in meglio tutte le città Europee che hanno affrontato seriamente il problema delle aree industriali dismesse. Il rinnovamento che viene espresso oggi a Milano resta quello di isole privilegiate spesso aliene al territorio circostante. (vedi City-Life)

La seconda osservazione è che a Milano emerge a sorpresa una forte domanda di tipologie edilizie alternative al solito banale “condominio” che offre il mercato. Centrate sulla richiesta di tipologie unifamiliari, che dove ancora esistono, neanche il Comune difende più, permettendo la trasformazione a “condomìni” dei pochi quartieri giardino esistenti. La tipologia del “loft”, in mancanza d’altro, soddisfa, all’italiana, questa più che ragionevole domanda del mercato immobiliare.

La terza osservazione è il modo per lo meno anomalo, attraverso il quale sono stati emessi provvedimenti edilizi che hanno permesso la loro realizzazione. Che l’Amministrazione e le commissioni edilizie nell’esame dei progetti non debbano fare il processo alle intenzioni dovrebbe essere un segno di civiltà, ma tra questa discrezione e quella di autorizzare tipologie di carattere chiaramente residenziale, con su scritto “laboratori”, ce ne corre. Chi firma e autorizza questi progetti commette e accetta un falso ideologico.

La quarta osservazione ci porta a chiedere se la bonifica delle aree industriali, procedura estremamente complessa per una categoria di lavoro di scarso contenuto tecnologico, sia appagante per il Comune che la persegue ostinatamente, quando ormai più del 50% delle aree industriali dismesse e in particolare quelle più estese e centrali hanno permesso, grazie ai “loft”, di realizzare residenze e altre attività di terziario su terreni che non potranno più essere bonificati. In attesa, naturalmente, della “stravagante soluzione”.

Gianni Zenoni



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