29 marzo 2011

UNA SOCIETÀ SENZA DESIDERI


Anche quest’anno il sociologo Giuseppe De Rita ha presentato attraverso il Censis il “44° Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, una accurata e critica lettura della società italiana estrapolata da numerosi dati statistici. Secondo le indagini di De Rita, nel 2010 l’Italia si presenta come “una società appiattita senza prospettive e orizzonti, senza rigore e senza spessore, senza regole né sogni, una società che non ha più desideri”. La crisi viene da lontano, dopo anni e anni di esaltazione di alcuni distorti obiettivi quali: 1) il primato del “fai da te”, dell’autosufficienza, della ricerca spasmodica del successo, della ricchezza e dell’apparire; 2) il consumismo esasperato sviluppato dalla televisione commerciale che ha promosso una sovrabbondanza di offerta di prodotti e servizi sempre nuovi (telefonini, giocattoli, lotterie, ecc.) creando “falsi bisogni e vuoti desideri”; 3) il primato del mercato libero senza regole, della liberalizzazione dell’economia, di una finanza senza “lacci e laccioli”; 4) la fede in un progresso e in uno sviluppo senza fine, libero da ogni vincolo, autorità e controlli; 5) il credere a una verticalizzazione e personalizzazione del potere ai fini di un salutare decisionismo di chi governa.

L’avvento della globalizzazione e l’attuale crisi mondiale ha messo a nudo i limiti delle speranze, dei sogni e delle certezze coltivate dagli Italiani mettendo pesantemente in crisi non solo la nostra economia, ma anche la nostra cultura e la nostra realtà politica. La nostra società infatti deve affrontare l’attuale difficile periodo purtroppo indebolita nella sua capacità di reazione dalla: 1) perdita di consistenza dei legami e delle relazioni sociali che condannano i singoli a uno stato di isolamento, inducendoli a un “si salvi chi può” e ad un pericoloso “vuoto sociale”; 2) insicurezza, il vero virus che colpisce la nostra società che per generazioni ha lavorato per garantirsi un lavoro stabile, la casa di proprietà e un buon risparmio, certezze sempre più messe in dubbio; 3) delusione nei confronti del mercato, il tradimento dell’economia che ha colpito i ceti medi sprofondando nella povertà milioni di persone; 4) incertezza politica; 5) incapacità di sconfiggere la corruzione e l’evasione fiscale; 6) numeri preoccupanti quali due milioni e mezzo di giovani tra i 15 e 34 anni (il 19% del totale) che non hanno un lavoro e scoraggiati non lo cercano, due milioni e 900.000 lavoratori precari a tempo indeterminato o collaboratori a progetto, le centinaia di migliaia di cassaintegrati, un popolo che non riesce a costruire un progetto stabile di vita; 7) da ultimo la mancanza di desiderio.

De Rita di fronte a questo preoccupante panorama constata che “Forse aveva ragione chi profetizzava che il capitalismo avrebbe trionfato con la strategia del rinforzo continuo dell’offerta, strumento invincibile nel non dare spazio ai desideri. Il sovradimensionamento dell’offerta ha portato all’estinzione del desiderio.”. Inoltre propone “leggi securizzanti approntate dall’alto con interventi volti ad assicurare le paure con più controllo, più obblighi e doveri per tutti per superare contingenze economiche e sbavature della convivenza collettiva. Partendo dal basso, accrescendo le capacità, la preparazione, la razionalità e la coscienza dei singoli attraverso politiche volte a valorizzare il merito. Ma tutto ciò non basta, dobbiamo tornare a desiderare, che è una virtù civile. Il desiderio impone l’altro liberandoci dalla soggettività autoreferenziale, superando l’attuale appiattimento, allargando l’orizzonte… il desiderio esprime la volontà di voler dire e di voler essere che oggi manca in tanti comportamenti. I Greci dicevano che virtuoso è colui che sa modulare la potenza del proprio desiderio (senza vietarlo del tutto e senza del tutto accondiscendere a esso).

In un’intervista Massimo Recalcati (Presidente dell’Associazione di Psicanalisi ALI) in una intervista approfondisce così, il concetto di desiderio e il perché della sua dissoluzione nella società: “Il discorso del capitalista esprime l’idea che la salvezza dell’essere umano, la possibilità di risolvere il dolore di esistere, è data dall’oggetto; per salvarci dobbiamo appropriarci di oggetti, salvo poi verificare che nessuno di essi basta a dare la felicità. Il desiderio ha una sua natura inconscia, non è qualcosa che io posseggo, ma qualcosa che mi possiede, come nella dimensione cristiana della vocazione. Il desiderio non è capriccio che coincide con la libertà di fare quello che si vuole. Esso implica una responsabilità non solo rispetto al nostro desiderio, ma anche rispetto al desiderio dell’altro, dunque un legame sociale. E’ desiderio quando siamo di fronte ad una scelta in cui va della nostra esistenza. Il desiderio si educa in un modo molto semplice, con la testimonianza. La testimonianza è un sapere che incarna un desiderio.”.

Aldo Bonomi, Presidente dell’AASTER associazione che si occupa delle dinamiche sociali ed economiche dello sviluppo territoriale, così esprime una sua concreta proposta per superare questa crisi culturale: “Sotto la pelle dello Stato possiamo scorgere tre grandi comportamenti collettivi: il rancore, la cura e l’operosità. Se uno non ha più desiderio sarà dominato dalla paura, dall’incertezza, e finirà per chiudersi rancorosamente in se stesso. Per fortuna però in questa società c’è ancora una solida comunità di cura, cioè tutte quelle iniziative che hanno nel DNA il senso dell’inclusione, il non profit, l’impresa sociale, il volontariato.”. Solamente una nuova alleanza tra l’economia competitiva (imprese piccole, medie e grandi) e chi produce bene sociale (volontariato, impresa sociale e non profit) potrà ridare al paese un desiderio capace di costruzione.”.

Tale alleanza è già oggi attuabile facendo leva sul mondo del volontariato che non solo svolge una fondamentale opera di raccordo nelle comunità, ma continua a garantire servizi essenziali in questo nostro tempo di crisi. Un mondo che rappresenta il 26,2% degli Italiani (uno su quattro) di cui il 33% nella sanità. Ho letto con molto interesse e ottimismo il documento di De Rita e le diverse interviste nelle quali mi riconosco totalmente e che rappresentano le preoccupazioni e le speranze sociali, culturali ed economiche che da anni denunciamo su queste pagine.

Giovanni Agnesi



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