12 luglio 2010

IL LIBRO DI NORDIO E PISAPIA


 

C. Nordio – G. Pisapia, ” In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili”.
Negli ultimi tempi, in Italia, sembra essere divenuto difficile poter parlare del sistema giudiziario, in particolare quello penale, con competenza, realismo, moderazione e ragionevolezza. Fortunatamente questo problema non l’hanno avuto Carlo Nordio e Giuliano Pisapia, autori del libro “In attesa di giudizio. Dialogo sulle riforme possibili”, scritto a quattro mani dopo aver presieduto entrambi, sotto governi diversi, la commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Il libro dunque, come scrive Nordio, “nasce da una delusione perché né il centrodestra né il centrosinistra hanno mostrato il minimo interesse a dare un seguito a quelle soluzioni prospettate in modo bipartisan”, e presenta diversi motivi di interesse, a cominciare dal profilo biografico dei due autori.

Nordio infatti è procuratore aggiunto a Venezia, si definisce liberale e realista, Pisapia invece è avvocato, espressione della cultura della sinistra idealista e fu eletto per una legislatura alla Camera nelle liste di Rifondazione comunista. Entrambi, dalla presidenza della Commissione di riforma del codice penale, sono giunti alla stessa diagnosi ed hanno prospettato terapie simili scontrandosi però con l’incapacità (o la non volontà) della politica di procedere a riforme serie e ragionevoli. Anzi, da entrambi proviene l’amara constatazione che, sui temi della giustizia, la classe politica sia attenta solamente alle sensibilità dell’opinione pubblica, oscillando in maniera irrazionale tra buonismi eccessivi e rigidi pacchetti sicurezza.

Il libro dunque, con il metodo dialettico della maieutica socratica, interseca la voce dei due autori e prova a far luce nel buio del nostro sistema penale. La prima parte è dedicata alle “malattie della giustizia”, e incomincia da una data chiave: il 1989, quando si riformò il Codice di procedura penale e si passò dal sistema inquisitorio al sistema accusatorio. Il modello accusatorio, che si basa sulla parità delle parti (accusa e difesa) e la formazione della prova in dibattimento davanti al giudice terzo e imparziale, avrebbe potuto snellire il sistema, ma, ricorda Nordio, ” rimasero immutate le garanzie, soprattutto quelle relative alla possibilità di impugnare e non si favorirono gli strumenti deflattivi, quali il patteggiamento, molto usati nei sistemi accusatori anglosassoni”.

Così oggi, la lunghezza del processo facilita l’incombenza della prescrizione e spesso l’unica pena inflitta a molti imputati è la carcerazione preventiva, rivelandosi quanto mai veritiera la frase di Vassalli “sempre di più il giorno del processo diventa per l’imputato il giorno della libertà”. La ragionevole durata del processo è dunque l’obiettivo cardine per che vuole riformare il sistema, ma il modo, dicono gli autori, non può essere quello del d.d.l. sul cd. processo breve, che è stato recentemente oggetto di esame in Parlamento. Infatti la pur lodevole volontà di dare un termine massimo alla durata del processo (il d.d.l. parla di 6 anni) rischia di dare un nuovo impulso alla prescrizione, “se non aumentano le risorse in maniera proporzionale e non si procede a una diminuzione dei reati” (Nordio).

Una seria depenalizzazione è un’altra delle idee chiave del libro. Forte è la critica al panpenalismo che è “solo propaganda, stupida demagogia” (Pisapia), e l’auspicio di una riforma del codice penale che elimini “l’ormai superata distinzione tra delitti e contravvenzioni, sanzionando le seconde solo in via amministrativa” (Nordio) e aumenti i reati perseguibili solo a querela. L’idea di poter risolvere tutto con il Codice Penale permette alla politica di guadagnare consensi ma allo stesso tempo intasa le aule giudiziarie. La seconda parte del libro si dedica poi alle riforme costituzionali e al complesso rapporto tra politica e giustizia.

In particolare gli autori si interrogano sulla separazione delle carriere, sull’obbligatorietà dell’azione penale e sul ruolo del Csm. Sul primo punto le posizioni sono pressoché identiche. Pisapia guarda con sfavore a un arbitro che possa indossare «una volta la casacca nera e l’ altra la divisa del giocatore», e sottolinea, con un po’ di amarezza che su questo tema troppo spesso la cultura democratica di sinistra sia stata sorda e prevenuta. La separazione delle carriere, che significa bloccare il transito automatico da funzione giudicante a funzione inquirente e creare due organi di autogoverno distinti per giudici e Pm, è auspicabile anche per generare maggiore fiducia dei cittadini verso chi ha il compito di giudicare. Imprescindibile però, dicono con una sola voce i due autori, è la necessità di garantire sempre l’indipendenza assoluta del Pm dall’esecutivo

Sul secondo le posizioni differiscono, perché se da un lato Pisapia vede nell’art. 112 Cost. la garanzia di un’effettiva uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, Nordio invece teme che esso garantisca ai Pm una discrezionalità talvolta esagerata, potenzialmente sconfinabile nell’arbitrio. Il punto è di particolare interesse e in evidenza nella recente cronaca politica. Da un lato infatti l’obbligatorietà dell’azione penale può essere vista come il prezzo che la società paga all’assoluta indipendenza di chi fa le indagini, mentre dall’altro lo si può considerare un incomprensibile privilegio che svincola i Pm da ogni responsabilità.

Quasi sorprendentemente però, anche su un tema che li divide, i due autori alla fine concordano: questo sarebbe un falso problema se cessasse l’idea del panpenalismo e si smettesse di creare nuovi (e inutili) reati e i Pm si potessero dedicare solo a reati seri, avendo tempo per tutti. Necessaria per entrambi è una riforma del Csm, che, amara verità, oggi “sta alle correnti come il parlamento della prima Repubblica stava ai partiti” (Nordio). E’ bene che, nel solco dell’idea voluta dai costituenti, esso sia veramente organo di garanzia per i magistrati e tutti i cittadini.

Tra gli elementi di maggior interesse del libro, dunque, vi è la constatazione che gli autori, pur partendo da diversa posizione politica e ruolo professionale, si confrontano giungendo a conclusioni convergenti su molte questioni spinose. E’ vero, vi sono anche delle divergenze profonde (come le analisi sulla necessità o meno di una riscrittura della Costituzione) ma, come scrive Sergio Romano nella prefazione del libro, ” se il Parlamento delegasse a un comitato ristretto, composto da Nordio e Pisapia, la ricerca di una soluzione soddisfacente (ipotesi purtroppo improbabile), i due autori di questo libro riuscirebbero a trovarla”.

Le soluzioni soddisfacenti, infatti, sono il risultato di preparazione e specifiche competenze, qualità che sembrano spesso mancare nei palazzi dove si amministra la cosa pubblica.

 

Martino Liva

 

 

 

 

 


 



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