17 maggio 2010

IL “REFERNDUM IMPROPRIO” SU BERLUSCONI


Trovo utile riprendere l’analisi qui sviluppata da Guido Martinotti, con l’ironico titolo “Dopo il Berlusca i narcos”. Premetto però che non ho partecipato alla trasmissione di Radio Popolare di cui egli parla, con Aldo Schiavone e Roberto Biorcio, nella quale le elezioni regionali sono state definite “le prime del post-berlusconismo”. Non so chi lo abbia detto ed è l’opposto di quanto penso. Proprio perché condivido l’opinione di Martinotti che “i risultati di queste elezioni sono stati tra i più previsti degli ultimi anni”, esse hanno la stessa caratteristica di tutte quelle da quando il cavaliere è “sceso in campo”, dal 1994 in poi. E Berlusconi le ha vinte “sei a quarantuno”, come suona il titolo del mio commento sul numero di maggio su “Linus”. Qui scrivo note politiche in questi anni, nei quali, per quanto concerne l’Italia, tra politiche, europee, regionali, si è votato una dozzina di volte su un unico tema: un referendum improprio su Berlusconi. Che sia un referendum lo dice lui, lo scrivono i commentatori, ma se non si aggiunge il termine “improprio” non si capisce di che cosa si tratti, non si capisce perché Berlusconi vince sempre e non può perdere mai.

Questa volta ha vinto perché, su quasi quarantuno milioni di italiani, sei hanno votato il simbolo col suo nome. Si arriva a sette con i voti delle liste dei candidati presidenti di centro-destra, ma non fa differenza: siano trentacinque o trentaquattro i milioni di italiani iscritti alle liste elettorali che non lo votano, anche questa volta, come tutte le altre, leggo e sento dire, in Italia e all’estero, che “gli italiani votano per Berlusconi”, anche se lo fa solo una minoranza di loro (alle politiche del 2008 massimo del consenso, tredici milioni e mezzo su quarantasette).

Il fatto è che nei referendum propri la questione affrontata esce di scena dopo il risultato: in Italia la repubblica ha escluso la monarchia, il divorzio il matrimonio indissolubile, la liceità l’aborto come reato. Nel suo referendum improprio, Berlusconi domina sempre la scena, anche con risultati elettorali sfavorevoli A proposito di elezioni regionali, D’Alema si dimise precipitosamente da presidente del consiglio, nel 2000, senza neanche attendere i risultati finali, perché aveva peso nel Lazio e nel Veneto, dove aveva pronosticato di vincere, mentre Berlusconi rimase al suo posto nel 2005, quando perse tutte le regioni, meno il Lombardo-Veneto di Bossi e Formigoni. E, come egli stesso dice, il cavaliere liquida uno dopo l’altro i competitori: Prodi (che pure lo ha sconfitto due volte), lo stesso D’Alema, Occhetto, Amato, Fassino, Rutelli, Veltroni, Franceschini. E Bersani sembra in lista d’attesa. E’ vero che neanche i competitori battuti escono di scena; ma vi rimangono come comprimari perdenti, subalterni al “dominus” del sistema politico.

Mi pare che Martinotti affronti la stessa questione in due punti: “Vediamo questioni che sono risuonate alla grande: ‘Berlusconi non ha vinto perché il Pdl ha perso voti’. Affermazione del tutto fuorviante: per Berlusconi il partito conta fino a un certo punto, morto uno se ne fa un altro. Berlusconi ha vinto giocando come sempre in prima linea”. Concordo che abbia vinto. Ma per il “combinato disposto” del suo referendum improprio e dei voti al suo partito e alla Lega alleata Berlusconi ha bisogno di un partito, tanto che ne ha fondati due. Gioca “in prima linea”, ma con le retrovie ben protette da partiti (il suo e la Lega) che utilizzano una legge elettorale su misura per loro. Nel secondo punto, Martinotti cita, infatti, “Il bipartitismo imperfetto” (il mio libro del 1966), per dire: “Si deve abbandonare la difesa cieca di un bipartitismo che è sempre più imperfetto, anche se in modo contrario nel senso di Giorgio Galli, nel senso che questa volta il bipolarismo c’è nelle sigle, ma non nella realtà. Dove esiste un vero sistema bipolare si capisce subito chi ha vinto o perso. Qui dopo le elezioni hanno sempre vinto tutti”.

Sono d’accordo sulla “difesa cieca”. Con questo sistema Berlusconi vince sempre, perché domina sempre la scena, impone i temi e l’agenda politica sia quando è al governo (spesso), ma pure quando è all’opposizione (raramente), perché dalla Dc ha ereditato il potere di coalizione che essa aveva, mentre non l’aveva il Pci. Con dimensioni quasi analoghe (Dc 38-40 per cento, Pdl 35-37), mettono in essere maggioranze parlamentari stabili, mentre il Pd, con dimensioni massime analoghe al vecchio Pci (33-34 per cento), o non ha potere di coalizione o non può costruire maggioranze stabili (tre governi nella legislatura 1996-2001, caduta di Prodi nel 2008).

La nostra anomalia non è che “gli italiani votano Berlusconi”. Lo votano poco. In due anni di governo ha quasi dimezzato il suo elettorato (da undici milioni a sei, dove si è votato). L’anomalia è la mancanza di alternativa (come nel vecchio bipartitismo imperfetto). Sul che fare, soprattutto a Milano, l’anno prossimo, spero di aver occasione per qualche ulteriore osservazione.

 

Giorgio Galli

 


 



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