26 aprile 2010

DA QUI AL SINDACO


” Solo gli stupidi pensano che ripetere lo stesso esperimento con le stesse modalità possa dare risultati diversi ” (Albert Einstein)

 

Un anno di tempo per trovare l’alternativa a Donna Letizia Moratti. La guerra interna al centrodestra la logorerà, aumenterà i posti della Lega nelle banche e nelle municipalizzate, vedrà la pesante discesa in campo delle falangi di Cl, ma nessuno impedirà alla cocciuta Sciura di mettere sul piatto qualche milioncino di euro per scoraggiare alternative interne e sperare che, come di consueto, il solito Silvio arrivi in campagna elettorale a spiegare che sì, lei è la candidata, ma si vota per scegliere tra Berlusconi e il resto del mondo. Considerando che fino ad ora con questa strategia il cavaliere ha vinto sempre, anche nel Lazio senza lista di partito e con una candidata proveniente da “chi l’ha visto?”, cambiare sindaco sarà una vera impresa.

Non occorre scomodare von Clausewitz per capire che la Sinistra milanese e in generale i milanesi che vogliono liberarsi della petroedificatrice dovrebbero innanzitutto non accettare il terreno di sfida preferito dal Cav e quindi NON impostare una battaglia politica nazionale, sottoponendo a pene corporali chiunque cominci a blaterare di “laboratorio politico “, battaglia di civiltà contro i barbari, la destra populista e via dicendo: si vota per il Sindaco e per il Consiglio comunale, quindi la prima cosa da fare è quella di trovare un candidato evitando il consueto inutile balletto sul “metodo” (primarie strette, larghe, bislunghe), sul programma e altre intempestive questioni quali il profilo politico preventivo del candidato (cattolico, no laico liberale, no di sinistra vera ..). I dati delle ultime elezioni regionali in città parlano chiaro: i partiti organizzano ormai non più del venti per cento degli elettori milanesi, che in grande maggioranza si sono rifugiati nell’astensionismo detto “attivo” perché determinato da una mancanza di offerta politica credibile e non da disinteresse strutturale. Ciò significa che qualsiasi candidato proveniente da un’organizzazione (in pratica, solo dal Pd) può contare su una base di partenza troppo ristretta, non superiore al 10 per cento, per potersi affermare solo in virtù della “designazione”, come invece potrebbe avvenire, per esempio, a Genova o Bologna, fatto questo che autorizza associazioni, gruppi, singoli a spingere con coraggio ogni potenziale candidato a fare un passo avanti, dichiarando la propria disponibilità senza inutili tatticismi e giri di parole.

Qualche regola certo occorrerà dettarla, soprattutto per garantirsi un bel “astenersi perdigiorno”, nel senso che devono essere caldamente scoraggiate le candidature inutilmente folcloristiche e, soprattutto, quelle di “bandiera”, destinate a raccattare qualche punto percentuale in qualche primaria per marcare identità politiche e “contarsi”. Chi si candida deve farlo con l’idea di vincere e non di partecipare, sin da eventuali primarie, deve mettere a disposizione della città i prossimi cinque anni della sua vita nonché una congrua disponibilità economica per la campagna elettorale, propria o proveniente dai sostenitori: alla mistificazione del centrodestra, che tuona contro i “professionisti della politica” per instaurare la prassi della scelta fra essere ” velina o deputato ” (la variante lombarda prevede un passaggio come igienista dentale), occorre contrapporre lo spirito della politica come “impegno civile”, ma con fatti concreti. Il nostro ipotetico professionista che volesse candidarsi, per esempio, deve sapere che la candidatura comporta la chiusura (non il passaggio al figlio) del proprio studio di architettura o la cessione della propria quota del Laboratorio di analisi mediche o di qualsiasi attività che dipenda in maniera non marginale da commesse e decisioni della PA milanese e lombarda: se non volesse o non potesse compiere questa dolorosa separazione da una parte importante della propria vita professionale, ce ne dovremmo fare una ragione e chiedergli di venire a distribuire volantini con noi, senza rimpianti, a sostegno del successivo in lista.

Chi fa il famoso passo avanti avrà l’onere di esprimere la propria idea di città e cercare di costruire (lui, non il partito che non c’è) una coalizione di forze politiche e sociali guadagnandone l’adesione modificando e integrando un progetto iniziale, in maniera da delineare la possibile gestione della sindacatura: le scelte urbanistiche, di assistenza, di ordine pubblico e sociale come risultato di una condivisione e non di una contrattazione. Sconsigliabile quindi la “discesa in campo” di Ufo con profilo antipolitico, tipo “chi l’ha (più) visto” Fumagalli o il prefetto con l’eskimo dell’ultima tornata, auspicabile la comparsa di un Vendola o di una Bonino (ma ci accontentiamo di molto meno) disponibile a partire da una propria identità e storia politica non rinnegata per “allargare” le proprie vedute in maniera inclusiva.

Di liste, primarie, “rinnovamento”, “nuovo soggetto politico”, giovani, vecchi, donne e bambini parliamone dopo: si fanno (le primarie) solo se abbiamo la fortuna di avere addirittura due o più candidati con idee e progetto compatibili e dobbiamo scegliere il front-runner, non per realizzare un plebiscito privato e consolatorio che ha l’unico effetto di logorare tasche e suole delle scarpe utili invece per la sfida vera. Dopo venti anni di sconfitte e di decadenza della città sarebbe ora di cominciare a fare sul serio, no?

 

Franco D’Alfonso


 



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