12 aprile 2010

COMPLICARE IL COMPLICATO. DISINCENTIVI PER LA CASA


E’ in arrivo una semplificazione dell’iter burocratico delle autorizzazioni edilizie, in particolare un provvedimento che riguarda l’abolizione della DIA (Denuncia di Inizio Attività) in una serie di casi, in particolare per le opere interne alle singole unità immobiliari, ovvero per i lavori di ristrutturazione della casa, prassi nota e utilizzata da buona parte degli italiani. Quando ho iniziato la professione all’inizio degli anni Ottanta era il momento in cui stava partendo il boom delle ristrutturazioni. C’era allora un iter burocratico molto vago che richiedeva un’autorizzazione esplicita: le pratiche erano lunghissime. Naturalmente tutti procedevano lo stesso, il che comportava controlli dei cantieri con conseguenti accordi sottobanco anche nel caso in cui non ci fosse nulla di illegale.

La prima procedura di silenzio assenso dopo trenta giorni prese il nome di “articolo 26” e si riferiva a una legge del 1985 che obbligava chiunque intendesse compiere opere interne a fabbricati una relazione a firma di un professionista abilitato. Successivamente si chiamò D.I.A. ed è tuttora in uso. Per chi non sa queste cose, la DIA è quindi la pratica autorizzativa per cui dopo la consegna di un modulo contenente tutti gli elementi normativi relativi all’immobile e i disegni di progetto, si aspettano trenta giorni per dare l’inizio lavori, cui seguono i lavori effettivi e la “fine lavori” con l’aggiornamento catastale quando necessario. Oggi si propone di eliminarla liberalizzando le procedure, è giusto? Porterà un vantaggio ai cittadini? E soprattutto porterà un incremento del lavoro? Io penso esattamente il contrario per una serie di motivi che provo a elencare.

Motivi strutturali. Si dice che la DIA potrà essere eliminata nel caso in cui non siano presenti opere strutturali, ma non è facile definire in una vecchia casa, magari con i solai in legno, cosa sia strutturale cosa no. Mi è capitato ad esempio di trovare tavolati, pareti divisorie non portanti, la cui demolizione ha causato l’imbarcamento e anche distacchi dei pavimenti e dei soffitti dai piani superiori e inferiori, con causa civile conseguente. Complicazioni progettuali. I lavori di ristrutturazione possono, pur sembrando semplici in fase di progettazione, complicarsi durante l’esecuzione per diversi motivi, ad esempio: le strutture murarie esistenti, per difetti di origine occulti o a causa di passate ristrutturazioni senza controllo, si rivelano inadeguate.

Inoltre spesso durante i lavori sopravvengono nuove esigenze da parte dei proprietari che richiedono maggiori opere, perché si desidera realizzare molto di più di quanto si pensasse in partenza. Che si fa? Si presenta la Dia per sopravvenute opere strutturali? Dubito molto. Problemi igienici. Oggi il tecnico garantisce che i lavori siano eseguiti a norma e secondo le prescrizioni comunali. E’ vero che alcune norme sono antiquate, ma eliminando la DIA salterebbero tutte: sicuramente l’antibagno (è un impiccio, perché farlo?) Dunque perché no il water in camera? (l’ho visto, abusivo ovviamente). Va bene il bagno che affaccia in cucina? Che ne dire dei rapporti aereo illuminanti, ovvero quel rapporto preciso tre la dimensione della stanza e la dimensione della finestra? Saltano anche loro. E le altezze minime obbligatorie? Buona parte dei regolamenti edilizi sarebbero totalmente da rivedere, ci vorranno anni e nel frattempo? Ci saranno di nuovo i controllori per vedere se si è conformi al regolamento? Torniamo agli accordi sottobanco?

Accatastamento. Arrivati alla fine del cantiere si presenta il problema della dichiarazione di fine lavori e dell’accatastamento relativo. Immagino che eliminare la DIA comporti anche eliminare l’accatastamento finale dell’appartamento variato. Se le opere interne sono un fatto privato, al catasto devono essere riportati solo muri perimetrali di confine che definiscono la proprietà (le case nuove non hanno muri portanti). Quindi in caso di compravendite non sarà più necessario allegare una planimetria esatta di cosa si compra e si vende. Non mi sembra una grande idea e intravedo possibili brogli e cause conseguenti.

Mercato del lavoro. Si dice che lo sveltimento delle pratiche aumenti il mercato del lavoro. Verissimo. Spesso le procedure sono tremendamente faragginose, ma in questo caso ritengo invece che il lavoro diminuisca perché si taglia quella buona organizzazione, coordinata quasi sempre da un architetto o un geometra, che fornisce un servizio che comprende proprietà, artigiani, fornitori, professionisti spinti spesso a trovare soluzioni originali e innovative che hanno reso famosi gli interni italiani sulle riviste nazionali e internazionali. Si può dire che ognuno è libero comunque di chiamare l’architetto, ma siamo nel paese in cui la professionalità è sottostimata, togliere la testa pensante non favorisce nessuno. Il professionista non è un idiota pleonastico ma spesso una persona che trova buone soluzioni e le coordina con esperienza. L’Impresa che esegue i lavori, inoltre, completamente fuori controllo, visto che non si richiede più alcun documento certificativo della sua attività, non fornirà alcuna garanzia di competenza.

Conclusione: meglio non proporre finte semplificazioni che complicano le cose semplici. Facciamo invece una semplificazione vera per le opere interne: togliamo i trenta giorni di attesa e la comunicazione d’inizio lavori. Si consegna la Dia e si comincia. Si consegnano tutti i documenti necessari, l’Amministrazione mantiene il controllo, non fiorisce il nero, c’è chi garantisce che le opere siano realizzate con criterio, le pratiche annesse e connesse non dovranno essere reimpostate e tutto sarà fatto alla luce del sole.

Giovanna Franco Repellini



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