2 marzo 2010

DELLA LEGA E DEL SUO MODESTO PESO


Il 20 giugno del 1993 viene eletto sindaco di Milano il leghista Marco Formentini. Il 3 giugno del 1994 diventa presidente della regione Lombardia il leghista Paolo Arrigoni. Nel 1994 presidente della provincia di Milano è il leghista Massimo Zanello. Mai nella storia democratica della regione un partito aveva avuto una così ampia concentrazione di potere. Mai una così ampia concentrazione di potere svanì nella più totale indifferenza, senza lasciare segni duraturi del suo amministrare. Questa insignificanza realizzativa e questa mancanza di leadership tuttavia non hanno affatto penalizzato la Lega in termini elettorali. Anzi. La Lega prende alle regionali del ’95 935000 voti il 17,7%, 700000 voti alle regionali del 2005 con il 15,8%, ma alle europee nel 2009 il 22,7% con 1220000 voti; una percentuale vicina a quelle delle politiche e che riporta in valori assoluti alle elezioni del 1990 quando alle regionali prese 1200000 pari al 19% circa.

Il trend guardando le ultime tornate è in crescita ma in modo incostante e contraddittorio. La Lega ottiene il massimo dei suoi consensi alle elezioni in cui concorre/compete con Berlusconi, quasi a essere identificata come un correttivo al berlusconismo da parte di elettori comunque orientati verso il centrodestra. Non è il federalismo o il ciarpame celtico a portare voti ma l’idea che la Lega sia più rigorosa dei berlusconiani. In assenza di Berlusconi, per esempio alle elezioni comunali, quando entrano in gioco altri soggetti e altre leadership la Lega subisce un calo di voti.

Alle elezioni comunali prende mediamente meno che a quelle politiche non superando in nessun capoluogo di provincia il 15% (eccetto Varese, dove guarda caso aveva il candidato a sindaco): 14,9% comunali di Bergamo, 9,8% Sondrio, 3,7% Milano, all’11 % di Cremona, 10,4% a Pavia, il 10,8% di Como, 8,7% di Monza, Lecco 13,8%. Se mettiamo in relazione il voto amministrativo più recente a quello delle europee dello scorso la Lega alle amministrative è a meno 5% a BG, a meno 20% a Sondrio, a -8% a Milano, -4% a Cremona, -4% a Pavia, e via dicendo. E’ pur vero che paragonare elezioni differenti svoltesi in anni differenti è privo di qualsiasi elemento di correttezza scientifico accademica, ma serve ad avvalorare la mia convinzione che il voto alla Lega è fondamentalmente un voto d’opinione con forti escursioni. Il voto di appartenenza è poca cosa.

Amministrativamente parlando quindi la Lega ha un peso che pur non essendo trascurabile non è neppure determinante o per lo meno non lo è più di altri considerando anche che vi è uno squilibrio geografico tra aree urbane e periferia nel voto leghista a tutto favore delle seconde. Squilibrio anch’esso modificatosi con il tempo, vale la pena rammentare che a Milano alle elezioni del 1993, la lista della Lega prese 308562 voti pari al 40,9%, quasi il totale dei voti presi dalla coalizione Moratti 4 anni fa. Dalla sconfitta di Formentini la Lega ha scelto di rinunciare a chiedere il posto di sindaco/presidente per avere in cambio più posti di assessori e di potere, una politica che nella prima repubblica era appannaggio del PSDI. La sua presenza nelle giunte non ha minimamente inciso sulle scelte di fondo, siano esse quelle delle infrastrutture, del rapporto pubblico/privato, della sussidiarietà etc. Tant’è che quando casualmente un amministratore leghista andava in rotta di collisione con il sistema di potere, vedi ad esempio l’ex assessore Cè, veniva dimissionato. Le accuse di Cè, oggi vicino all’IDV ai suoi ex colleghi di giunta sono feroci e argomentate ma la Lega l’ha cancellato, come in passato è capitato a tanti altri.

Questa militarizzazione della Lega è stata quasi sempre spiegata con la volontà di Bossi di evitare la nascita di correnti organizzate e di perdere il controllo sulla struttura. Personalmente dubito che sia così. Più banalmente Bossi non vuole che le vicende amministrative pesino su quelle politiche se non come deterrente. Gli importa poco in sostanza di quello che fa Formigoni, gli importa di poter condizionare in senso federalista Berlusconi, (bilanciando il peso di quelli che considera i suoi veri avversari: nazionalisti, statalisti, sudisti) minacciando l’instabilità delle giunte, che poi esattamente come faceva il PSDI non cadono mai; anzi l’unico sindaco dimissionato dalla propria maggioranza è stato il sindaco leghista di Lecco.

La politica della Lega nelle amministrazioni si è in questi anni limitata a un’attività propagandistico/declamatoria il cui esempio più riuscito è il consigliere Salvini a Milano. Bossi esattamente come Casini sa che una parte consistente dei suoi eletti nelle amministrazioni sono indifferenti alle scelte politiche e forse anche al colore della coalizione, vogliono solo amministrare; mentre sa che i suoi elettori, esattamente come quelli di Casini (in Lombardia) sono più interessati alla politica, alle scelte di fondo, alle amministrative votano con maggiore libertà.

Paradossalmente la pensa come Berlusconi, che considera gli amministratori locali un impiccio, perché è convinto che i voti arrivano quando c’è lui, anche se solo in effige. Questa debolezza/indifferenza della Lega sul versante amministrativo abbinata alla analoga parziale debolezza del pdl, aveva in questi anni consentito al centro sinistra, pur minoritario in termini di elettorato d’opinione di mantenere un consenso più forte alle elezioni locali. Con le ultime tornate amministrative non è più così.

Le sconfitte a BG, Cremona, Lodi, Pavia, Brescia, hanno pressoché cancellato il centrosinistra dalle giunte lombarde, e gli stessi leghisti cominciano a guardare con occhio diverso al ruolo dei leader locali. Questo non avviene ancora in Lombardia ma altrove sì, pensate a Cota e Zaia. Perché vi sia questa evoluzione non saprei dire, forse come in molti nel pdl si preparano al dopo Berlusconi per le stesse ragioni nella Lega ci si prepara al dopo Bossi; forse la sconfitta del centro sinistra è più opera delle sue confusioni che dei mutamenti nel cd; forse la qualità degli amministratori del centro sinistra si è abbassata; forse è solo sfiga.

Per il centro sinistra questo passaggio è tuttavia fondamentale se vuole evitare una bavarizzazione della Lombardia. Se all’elettorato d’opinione si salda una valutazione positiva dell’agire amministrativo del centro destra questo governerà per lustri. Diventa quindi fondamentale disarticolare sul nascere questa saldatura sapendo che la competizione con la Lega non avviene sui programmi ma sui candidati, sulla loro capacità di andare oltre il sistema partiti, di aggregare voti anche solo sulla propria bella faccia. Bello o brutto che sia il presidenzialismo è questo. Dopo le regionali sarà il caso di ricominciare a ragionare sulla Lega. Del candidato al comune di Milano occorre ragionare già adesso.

 

Walter Marossi



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