22 febbraio 2010

I RAGIONIERI DELLA POLITICA IN REGIONE


Il prossimo 28 marzo si voterà per la quarta volta per eleggere gli organi di quella che potremmo definire la Seconda Regione Lombardia, nella quale le nefandezze della corrotta Prima spazzolata da Di Pietro e pool avrebbero dovuto essere dimenticate.

Tralasciamo i commenti sul fronte tangentopolaro, perché di Pennisi e Prosperini parlano già altri e vediamo che qualche cambiamento nel quadro politico c’è stato: una notevole stabilità, con un Presidente non nuovissimo già nella Prima, che con interpretazioni di leggi e consenso popolare è destinato a regnare per un Ventennio; una notevole omogeneità, con la sparizione antropologica del centro sinistra e il consolidamento del connubio Cl-Berlusconi-Lega in grado di monopolizzare tutte le maggioranze, dai mini Comuni alla Giunta Regionale; la proliferazione di partiti personali e transeunti tendenti ad aggiungere un posto a tavola e non in grado di mettere in campo alcun tipo di “visione” politica alternativa, garantendo la stabilità per assenza di opposizione; la scomparsa dei grandi temi, quali quello del federalismo, che avevano accompagnato la nascita della più ricca Regione d’Europa sin dai tempi di Piero Bassetti.

Sotto campagna elettorale le promesse di cambiamento sono come di consueto millanta, ma occorre dire che, rispetto a una volta, durano ormai ancora meno della campagna elettorale stessa.

Formigoni aveva promesso di portare la Regione Lombardia in Europa e al Governo, attraverso la sua autorevole presenza in ruoli istituzionali di primo piano ma, complice l’allergia del Cav. Berlusconi per i democristiani di qualsiasi genere, è ancora qui che baccaglia con la Lega per il sindaco di Lecco, sua città natale, insidiata dal ministro Castelli che, giusto per ribadire l’assoluta opposizione ai professionisti della politica e ai doppi e tripli incarichi, vorrebbe sedersi (anche) nel municipio del ramo di mezzogiorno del Lago, magari con vista sul nuovo grattacielo Pirellone o Formigone che sia. La nobile campagna contro il parlamento dei “nominati” che avrebbe dovuto partire dalla Regione Lombardia dei “meriti più che dei bisogni” ha partorito un timido tentativo abortito di cambiare la legge elettorale lombarda per … abolire le preferenze, ripiegando velocemente su un complesso dispiegamento di liste finalizzato a tenere il centrodestra sotto il 60% in maniera da eleggere sedici (e non otto) consiglieri con il listino bloccato.

Listino bloccato gabellato a suo tempo come il metodo per eleggere illustri professori e manager esclusi dagli ignobili signori delle preferenze che, ancora una volta, verrà utilizzato per i “bisogni” di Corte: qualche signorotto locale da rimuovere per far spazio nel collegio e la solita congerie di nani e ballerine proveniente direttamente dagli ambienti della Versailles della Brianza.

Studi ben fatti hanno spiegato che i lombardi sono tutto sommato soddisfatti di come sono governati (due terzi lo sono dei trasporti ferroviari, pensa te) e che quindici anni di opposizione che puntava alla “Grande Coalizione” hanno prodotto l’esito sperato ma all’interno del centro destra, dove la dialettica è tra Lega, ex An e Cl, dimenticando anche elettoralmente il centro-sinistra: il centro-sinistra (chissà quando troverà il coraggio di chiamarsi Sinistra, come in tutta Europa !) si è dato da fare promettendo a novembre uno schieramento compatto (tre liste, tutte politiche, a sostegno del candidato), un programma alternativo, una campagna agguerrita e diversa rispetto a quella delle provinciali dello scorso anno, dove era maggioranza uscente.

Peccato che Penati non abbia resistito più di un mese senza ritirare fuori la grisaglia della scorsa campagna elettorale e spiegare che le cose da fare sono quelle del centrodestra, ma meglio: così quando la ministra Gelmini sugli incidenti di viale Padova spara la solita insopportabile propaganda da trivio sulla sicurezza prima dell’integrazione e sul numero chiuso degli immigrati nei quartieri “visto il buon risultato ottenuto nelle scuole”, invece di accompagnare con una pernacchia una breve esposizione di pochi fra i milioni di dati che vanno contro quanto detto dall’avvocato bresciano con esami di Stato passati a Catanzaro, non si è riusciti a dire niente di meglio che” il centrodestra governa tutto da anni e quindi ha fallito perché non ha realizzato ciò che ha promesso”. Per una ricetta alternativa se ne riparla dopo le elezioni.

Non sta andando meglio sul fronte delle “liste” rappresentative di una nuova sinistra ecc: rapidamente sepolti i progetti per dare vita a nuovi soggetti politici, grande corsa verso l’affermazione delle identità del Novecento. I Radicali per fare la loro listina hanno candidato la Bonino, che non metterà mai piede in Consiglio, con buona pace del rapporto all’americana tra eletto ed elettore col quale Pannella ci sgonfia da anni; i Verdi e il Psi si lanciano nella missione impossibile di raccogliere le firme necessarie per la presentazione del proprio glorioso simbolo, pur se le stesse (diciottomila) sono superiori ai voti raccolti alle ultime elezioni alle quali furono presenti; il progetto di Sinistra e Libertà, che avrebbe dovuto porsi come l’incubatore della sinistra del Nuovo Millennio, si è ridotto a una lista con il nome del Governatore della Puglia che per motivi del tutto misteriosi dovrebbe riuscire laddove fallì la Sinistra Arcobaleno dell’allora presidente della Camera; il Pd cerca fino all’ultimo di partorire una lista di “Cattolici democratici” prima di rassegnarsi a utilizzare il bilancino per risarcire i cattolici che con Bersani si sentono scomodi, mettendo come capolista solo ex popolari ovvero uomini del mondo cattolico organizzato; i Pensionati, tra i migliori fichi del bigoncio della Seconda Regione, genereranno almeno due liste, anche se resteranno in un’unica famiglia, quella dei Fatuzzo. Neanche stavolta ci si è ricordati che dopo il Carnevale viene la Quaresima e la Pasqua è una festa mobile: mi sa che non si festeggia neanche quest’anno.

 

Franco D’Alfonso

 


 



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