12 gennaio 2010

CHE NE SARA’ DEL MASTERPLAN DI EXPO MILANO 2015?


In concomitanza con la presentazione ufficiale del masterplan dell’Expo avvenuta l’8 settembre scorso, di cui abbiamo già trattato nel n° 26 di Arcipelago, la Consulta di architettura coordinata da Stefano Boeri aveva pubblicato, a propria cura, un libro per illustrare più dettagliatamente il progetto, integrando le informazioni e la documentazione rese note nella conferenza stampa.

D’accordo con i promotori della petizione per una “Expo diffusa e sostenibile” ho proposto a Boeri di fare un incontro, che si è tenuto lo scorso 30 novembre, per presentare il libro reso integralmente consultabile nel sito www.emiliobattisti.com tramite il link  e per approfondire e discutere i contenuti del masterplan, masterplan.

Oltre a Boeri, vi hanno partecipato il suo collaboratore Michele Brunello, Salvatore Porcaro responsabile per il recupero delle cascine del Parco Sud e Carlo Fiorani di Slow Food.

Per avere un confronto critico ma costruttivo abbiamo messo in campo come discussers gli amici che, a partire dall’iniziativa della petizione e lavorando all’interno di quattro gruppi di lavoro (territorio e sostenibilità, agricoltura e alimentazione, mobilità e trasporti, economia e occupazione), si sono impegnati ad affrontare alcune tematiche di particolare importanza:

– Leonardo Cavalli, sulla questione della relazione tra il sito Expo e il suo intorno rispetto alla possibilità di innescare una trasformazione delle infrastrutture e dell’urbanizzazione dell’area;

– Paolo Deganello, sul tema dell’alimentazione e dell’agricoltura periurbana con particolare riferimento al ruolo del Parco Sud e delle cascine;

– Giorgio Spatti sulla mobilità di massa, l’accessibilità al sito, i trasporti e di come l’occasione dell’Expo potrebbe imprimere una svolta decisiva alla razionalizzazione del servizio;

– Camillo Agnoletto sui prevedibili tempi di realizzazione, il costo delle opere e sulle modalità di un possibile coinvolgimento dei soggetti economico-imprenditoriali.

Il confronto che ne è scaturito, che potete ascoltare integralmente registrato accedendo al sito citato tramite il link http://www.emiliobattisti.com/studio/eventi/masterplan/interventi.htm, si è svolto in termini costruttivi tant’è che Boeri ci ha chiesto di portare avanti il discorso incontrando l’architetto Gatto e l’ingegner Gorini, responsabili dell’Ufficio di Piano della Società Expo 2015 Spa al quale è affidato lo sviluppo del progetto, che ci hanno aggiornato sullo stato di avanzamento e fornito altre informazioni.

L’impressione generale che ne abbiamo ricavato è che lo sviluppo del progetto rischi di tradire l’idea del masterplan della Consulta e che la realizzazione dei padiglioni, , affidata ai vari stati partecipanti allineati lungo il cosiddetto Decumano, per quanto mantengano un affaccio di ampiezza pari a 20 metri uguale per tutti, avendo comunque la possibilità di espandersi in ampiezza sui lotti limitrofi per corrispondere alle differenti rispettive esigenze, comporterà una superficie complessiva di nuove edificazioni che supererà, in base al numero ipotizzato di paesi che parteciperanno all’Expo, quanto previsto dal masterplan (140.000 mq) avvicinandosi a quanto proposto invece nel dossier di candidatura (216.000 mq).

La situazione appare ancora più critica se si considera che lungo il cosiddetto Cardo sono previsti i padiglioni delle regioni italiane (10.000 mq), mentre soltanto quelli tematici e dedicati alle best-practice (62.000 mq) e delle grandi corporations del food (20.000 mq) è previsto che siano ospitati in alcuni spazi della Fiera. Sono inoltre da considerare altre superfici edificate per auditorium e anfiteatro oltre ai servizi di ristorazione (41.500 mq) mentre l’edificio delle poste, già presente nell’area, sarà recuperato per il Centro per lo sviluppo sostenibile e per l’amministrazione (60.000 mq). (vedi pagg. 87-88 del libro citato)

Si sta invece rivelando molto problematica l’ipotesi delle grandi “serre madre” che dovrebbero riprodurre le principali zone climatiche del pianeta, in quanto l’investimento si presenta molto oneroso, tenicamente complesso e non è pensabile che una volta realizzate possano essere smontate o demolite. Quindi se verranno realizzate bisognerà prevedere una loro permanenza in situ vincolando da subito una parte consistente dell’area rispetto alla sua futura utilizzazione. Anche i velari che rendono tanto suggestivi ed esotici i rendering del sito verranno ridimensionati e finiranno per proteggere esclusivamente i percorsi. Per non parlare del il sistema dei trasporti su acqua, ipotizzato un po’ ingenuamente utilizzando (vedi pag. 74 del libro citato) la cornice di canali e specchi d’acqua attorno al sito, integrato con gli altri sistemi di trasporto interno (vedi pag. 80 del libro citato), presenta grandi difficoltà di realizzazione visto che il dislivello tra le due estremità del sito è di ben nove metri e si dovranno superare notevoli salti di quota. Infine ipotesi di realizzare un sistema di tunnel sotterranei per poter risolvere la logistica interna delle merci sembra del tutto contradditoria con la presunta leggerezza ed ecosostenibilità dell’intervento.

I dati citati, riportati nel libro della Consulta (vedi pagg. 87/88 del libro citato), sembrano già tutti da aggiornare e il paventato rischio di trovarci alla fine dell’Expo con una onerosissima eredità di padiglioni da demolire non è quindi affatto scongiurato, malgrado i buoni propositi, di utilizzare materiali riciclabili attraverso un apposito manuale che sarebbe in preparazione, perché l’uso di tali materiali non potrà verosimilmente essere imposto dal BIE ai vari paesi che dovranno provvedere a realizzare i propri padiglioni. Mentre l’utilizzo di fonti rinnovabili illustrato nel capitolo intitolato “Metabolismo” (vedi pagg. 106-122 del libro citato) non ha proprio senso che venga proposto per i padiglioni, di cui è prevista la demolizione, ma potrebbero avere una vita duratura e una grande efficacia qualora fossero attuate in concrete situazioni individuate nel territorio adottando la proposta di una Expo diffusa e sostenibile.

Considerando la tavola cronologica che conclude il volume della Consulta e che illustra le fasi di evoluzione del sito dal 2009 al 2015 (vedi pagg. 159/160 del libro citato), tenuto conto che una delle tematiche di particolare crucialità riguarda, come abbiamo visto, proprio l’eredità molto negativa per il recupero urbanistico del territorio interessato, ritengo che vada estesa ben oltre il 2015 programmando almeno fino al 2020 le fasi di recupero del sito, anche in rapporto alla sua futura destinazione.

Infatti le destinazioni d’uso del sito dopo l’Expo presentate nel volume sono due: una prima definita come Parco Agricolo (vedi pagg. 155/156 del libro citato) che conserva pressoché integro l’impianto delle colture, proponendone la valorizzazione imprenditoriale comprese le serre; una seconda definita come Parco Urbano (vedi pagg. 157/158 del libro citato), nella quale figura una edificazione relativamente rada, impostata sulla tessitura verde derivante almeno in parte dall’impianto del masterplan. Va anche considerato che nel frattempo è emersa l’opzione RAI, in base alla quale si propone di utilizzare in parte il sito Expo per insediarvi il nuovo centro di produzione di Milano.

In riferimento alle varie ipotesi di uso futuro resta comunque da identificare il ruolo di cinque aree limitrofe al sito che vengono laconicamente indicate come “aree di sviluppo urbano soggetto al Conceptual Masterplan” (vedi pagg. 156 e 158 del libro citato), che per superficie complessiva sopravanzano di molto quella dello stesso sito: il ruolo di queste aree resta del tutto indefinito prima, durante e dopo la manifestazione.

Il masterplan sviluppa, come abbiamo visto, in termini progettuali più avanzati il sito dell’Expo in prossimità della Fiera, ma enuncia al contempo che la manifestazione si avvale di altri due “Grandi Progetti” esterni al sito (vedi pagg. 125-126 del libro citato). Ma per quanto riguarda le risorse, a fronte di un investimento pubblico previsto per l’urbanizzazione del sito di 1 miliardo e 250 milioni di euro, per gli interventi relativi alle “Vie d’acqua e le cascine” e alla “Via di terra e il percorso della cultura” gli stanziamenti previsti sono rispettivamente di 331 e 270 milioni di euro.

Dal che si deduce come si dia pochissimo spazio a quella che, anche nel libro della Consulta viene pomposamente definita Expo diffusa (vedi pag. 124 del libro citato)
riprendendo evidentemente la nostra proposta, che dovrebbe estendersi all’intero territorio metropolitano. Ma non si sa in effetti con quali risorse, visto che anche la Regione Lombardia, che dovrebbe essere l’istituzione più interessata a una diffusione territoriale della manifestazione, ha messo a bilancio soltanto 5 milioni nel 2010, 12 milioni nel 2011e 41 milioni nel 2012. Anche considerando che la Regione partecipa in misura del 25% alla Expo Spa e ammettendo che gli altri azionisti contribuiscano in proporzione, il totale teorico a disposizione per i tre anni sarebbe di 232 milioni, cifra irrisoria rispetto a quella che si era dichiarata originariamente. È invece per noi molto importante che la via d’acqua e la via di terra assumano un peso e un’evidenza molto maggiori e si diffondano non solo nel territorio comunale e metropolitano ma anche a scala regionale, al fine di realizzare almeno attraverso queste due componenti l’Expo diffusa e sostenibile proposta dalla nostra petizione.

Tornando alle risorse economiche va detto che fare affidamento sul miliardo di euro ipotizzato quale ricavato dai biglietti di ingresso dei visitatori appare imprudente così come ritenere di poter ottenere consistenti ritorni economici da operazioni immobiliari acquistando i terreni del sito per poterli collocare sul mercato dopo l’Expo così come sembra che Lucio Stanca si proponga di fare. Il riferimento all’esperienza delle Olimpiadi che si terranno a Londra nel 2012 (vedi pagg. 149/150 del libro citato) circa le opportunità di finanziamento per questa via sono smentite da recenti notizie che segnalano le grandi difficoltà a portare a termine le opere a fronte della crisi del mercato immobiliare.

Un’ulteriore considerazione riguarda l’aspetto morfologico dell’impianto rigidamente assiale che, riproponendo quello della Fiera progettata da Fuksas, (vedi pag. 34 e 114 del libro citato) non sembra sia appropriato rispetto a una possibile utilizzazione urbana dell’area dopo l’Expo. Esso rischia infatti di imporre al futuro insediamento un carattere allo stesso tempo monumentale e banale.

Infine la struttura dell’Ufficio di Piano, a prescindere dalla riconosciuta competenza dei suoi responsabili e che dispone per ora come organico operativo di quindici giovani laureati prevalentemente architetti, non sembra assolutamente adeguata a portare avanti un progetto così grande e soprattutto tanto sofisticato e inusuale.

Lo stesso Boeri ha riconosciuto in chiusura del nostro incontro come, nonostante le azioni già intraprese, il percorso da qui all’Expo 2015 sia ancora lungo e difficile e non possa assolutamente essere assimilato all’impegno per un’opera ordinaria per quanto grande e complessa, auspicando quindi il più attento ascolto e il più ampio coinvolgimento delle competenze che Milano è in grado di dispiegare ed esprimere.

Ma va tuttavia osservato che tale apertura non si è ancora manifestata da parte di chi gestisce concretamente l’Expo, e che la disponibilità all’ascolto e al coinvolgimento è stata fino ad ora dichiarata soprattutto a parole. In questa situazione anche l’impegno di Carlo Petrini, di Claudia Sorlini, delle università milanesi e di tutto il comitato scientifico potrebbe finire per risultare soltanto di copertura e esornativo.

Ci siamo fatti quindi l’idea che un forte impulso alla proposta di una Expo diffusa e sostenibile debba manifestarsi mobilitando quei soggetti sociali responsabili ed autonomi, anche di carattere imprenditoriale che, nella tutela di propri legittimi interessi, hanno l’evidente convenienza a che i milioni di visitatori, purché arrivino veramente, non vengano confinati all’interno del sito, ma che si possano invece muovere liberamente nel territorio cogliendo al contempo l’opportunità di apprezzare il nostro patrimonio storico culturale e sperimentare un soggiorno nel segno della sostenibilità in tutte le fondamentali manifestazioni della vita reale.

La nostra iniziativa avviata con la petizione, che può essere ancora sottoscritta nel sito www.emiliobattisti.com, non è quindi affatto esaurita e serve ancora la più ampia partecipazione e mobilitazione possibile perché siamo certi che serva non solo a portare avanti le nostre idee per una Expo diffusa e sostenibile, ma anche a che non venga completamente tradito il masterplan della Consulta.

 

Emilio Battisti

 

 

 

 

 

 



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