15 giugno 2009

MILANO: LE OMBRE DEL SALOTTO BUONO DEL MATTONE


Tre anni fa una società finanziaria milanese di nome Sopaf ha emesso questo comunicato stampa: “Sopaf al 33% nel Fondo Aster – un altro passo nel settore immobiliare. Milano, 21 aprile 2006 – Sopaf s.p.a. rende noto che la controllata LM & Pertners S.c.a. ha sottoscritto il 33,33% del Fondo Aster, fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato a Investitori Qualificati e gestito da Vegagest SGR. La sottoscrizione, pari a circa 22 milioni di Euro, sarà finanziata in parte da terzi e in parte con risorse proprie. L’investimento si affianca ad altre attività del gruppo Sopaf che comprendono la partecipazione in Polis Fondi SGR, per quanto riguarda l’area dell’Asset Management e quella in LM Real Estate, per gli investimenti proprietari.”

 

Il nome di questa società, Sopaf s.p.a., forse non dice nulla al grande pubblico. Tuttavia si tratta di una società che ormai fa parte del salotto buono della finanza. Adriano Galliani siede stabilmente nel Consiglio di Amministrazione dal luglio 2005 e dal luglio 2006 è membro del comitato per il controllo interno. Ma quel che più conta è che Sopaf è la finanziaria che fa capo ai fratelli Magnoni, Giorgio e Ruggero. Il secondo, in particolare, è un personaggio di tutto rilievo: è il numero uno di Lehman Brothers in Italia ed è il banchiere che nel ’99 ha affiancato Roberto Colaninno nella scalata a Telecom. Il sodalizio tra Magnoni e Colaninno è poi proseguito con avventure di non poco conto, tra cui spicca quella legata alla nuova Alitalia, di cui, secondo alcuni, Ruggero Magnoni sarebbe il vero deus ex machina.

 

Il Fondo chiuso Aster, invece, è la società dei fratelli Siano, costituita per promuovere una sola operazione immobiliare, però tutt’altro che insignificante, nell’est milanese, precisamente e Segrate. Che questa operazione, denominata Santa Monica, sia di tutto rispetto, lo dicono i numeri: secondo il Sole 24 ore del 10 maggio 2008 si tratta della più grande operazione immobiliare in corso nel milanese, con una quotazione di mercato di 500 milioni di Euro. In fondo al testo di un comunicato della stessa Sopaf del 29 giugno 2007, viene riportata questa notiziola, quasi si trattasse di un’inezia: “Sopaf inoltre comunica che in data odierna la controllata LM & Partners S.c.a. (in liquidazione) ha ceduto ad un operatore del settore 871 quote del fondo Aster (33,33%), sottoscritte nell’aprile 2006, realizzando una plusvalenza, al netto di oneri e costi accessori, di circa 10 milioni di Euro. Il Fondo Aster è un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato ad Investitori Qualificati e gestito da Vegagest SGR, società di gestione della Cassa di Ferrara.”

 

Dieci milioni di euro solo per tenere quattordici mesi in portafoglio una partecipazione non sono un cattivo affare, tanto più che l’investimento era stato di soli 22 milioni, poco più del doppio. Paghi due prendi tre! Giova far notare che in quei quattordici mesi, per quanto concerne l’operazione Santa Monica, non è successo nulla di rilevante: il piano era già stato approvato dal Comune e il successo dell’iniziativa immobiliare già ampiamente assicurato. Ma il motto di Sopaf è “più valore al capitale”, e ben si capisce il perché, se senza fare nulla si possono guadagnare 10 milioni di euro in poco più di un anno. Il suolo, come si vede, non ha più dunque nessun valore intrinseco, in funzione della sua fertilità o della maggiore o minore prossimità al centro urbano e ai servizi: il valore, anzi, è intrinsecamente flessibile, determinato unicamente dall’intraprendenza speculativa e dalla capacità contrattuale che l’operatore immobiliare possiede verso l’amministrazione pubblica. La rendita che ne deriva, però, non è una variabile passiva dell’operazione: con quei soldi si sarebbero potuti costruire un centinaio di alloggi popolari, si sarebbero potuti realizzare servizi per i più bisognosi, si sarebbe semplicemente potuto incrementare il bilancio del comune. I lavori sul terreno, invece, procedono a rilento, c’è la stretta creditizia, finanziare i lavori è sempre più difficile perché le vendite procedono a rilento. Forse arriverà qualche salvatore dall’oriente o dalla Russia, o da chissà dove. Forse arriverà qualche fondo sovrano. Forse. Intanto quei dieci milioni (netti) non hanno certamente arricchito la comunità cittadina. E’ più probabile che siano andati a sostenere altre operazioni analoghe.

Sopaf, tra le società che operano nel settore immobiliare, è tra quelle che si sono difese al meglio: nel 2008 ha perso solo il sessanta per cento di capitalizzazione. Molto peggio hanno fatto altri colossi del Real Estate, come Pirelli, Aedes, o la Risanamento di Luigi Zunino.

 

Questa vicenda a mio avviso merita una attenta riflessione, perché rappresenta uno spaccato reale di come operano i meccanismi connessi alla rendita immobiliare nel milanese.

E merita, a mio modesto parere, anche una riflessione da parte della magistratura: infatti, giusto per cercare di capire se queste enormi plusvalenze possano sottendere anche qualche illecito, nello scorso febbraio è stato presentato un esposto alla Procura della Repubblica.

Facciamo una passo indietro. Anno 2002. E’ un anno importante per la speculazione: viene approvato il “Collegato verde”, un provvedimento in materia ambientale, collegato appunto alla finanziaria. Si tratta di pochi articoli, tra i quali la possibilità per la bicicletta elettrica di circolare senza limitazioni. Interessante! Più interessante è però l’articolo 12 che rivede tutta la procedura in materia di bonifiche, che d’ora in poi saranno affidate a privati.

 

Questi in sostanza potranno sfruttare le capacità edificatorie dei terreni inquinati e accollarsi l’onere della bonifica utilizzando parte del plusvalore generato dall’intervento. La responsabilità del soggetto che ha causato l’inquinamento viene mantenuta ma chi ha capacità di investimento e progetti può proporsi, farsi assegnare l’area, bonificare e costruire. Dati la scarsità di risorse pubbliche e gli alti costi delle bonifiche la normativa pare a tutti più che ragionevole.

La norma ci mette un po’ ad ingranare, le vecchie procedure pubbliche, lente e inefficaci, non vengono subito smantellate. Ma c’è qualcuno che capisce presto che il settore delle bonifiche può essere promettente. Anche nel mondo della finanza la cosa non passa inosservata.

La nostra Sopaf è tra le più svelte. Nell’ottobre 2005 la società comunica di avere acquisito, attraverso una propria controllata, il 26% di SADI spa. SADI è una azienda che ha oltre un secolo di storia, con sede in provincia di Vicenza e opera nel settore dell’architettura, “principalmente con la progettazione e produzione di controsoffitti, pavimentazioni sopraelevate e allestimenti navali”. Ma non è questo ciò che interessa agli amministratori della finanziaria. Da qualche tempo SADI si è inserita nel campo delle bonifiche ambientali e questo può rendere parecchio. “L’operazione, riferisce il comunicato di Sopaf, rientra nella strategia di diversificazione del portafoglio proprietario perseguita da Sopaf volta ad effettuare investimenti in settori di nicchia, attraverso la costituzione di veicoli specialistici (quali IDA) che consentano di creare sinergie, a livello settoriale, tra investimenti simili in termini di know how e skill operativi, accelerando il processo di creazione del valore”.

 

Nessuna speculazione, per carità! Solo una bella accelerata nella produzione del valore! Nel comunicato si dice: “Attraverso l’operazione prospettata, Sopaf compie il primo investimento in una azienda operante, tra l’altro, nel settore delle bonifiche ambientali e dello smaltimento dei rifiuti inquinati. Anche a seguito delle recenti normative italiane e comunitarie in materia ambientale, Sopaf ritiene che il settore presenti prospettive di crescita interessanti e si pone l’obiettivo di favorire la crescita di SADI, anche attraverso operazioni di aggregazione con altre realtà operanti nel settore delle bonifiche ambientali e del trattamento dei rifiuti industriali.”

La SADI, in particolare la divisione ambiente che ha sede in provincia di Torino, la ritroviamo oggi coinvolta in un’inchiesta che ha avuto una certa risonanza nella cronaca milanese. Secondo Giancarlo Grossi, amministratore delegato della Green Holding Spa, la SADI di Torino sarebbe nelle mani della ‘ndrangheta. E, a suo dire, proprio per tenerla sotto controllo nel 2004 lui stesso avrebbe fondato la Ma.Te.Co., affidandola a due marescialli della finanza in pensione. Stiamo parlando dell’inchiesta su Santa Giulia, o Montecity, la città nella città sognata da Luigi Zunino e progettata da Norman Foster, una grande e ambiziosa operazione immobiliare impantanata nella crisi e in un mare di debiti.

 

La città e il suolo urbano vengono dunque considerati un po’ come vacche da mungere allo sfinimento e c’è una categoria di professionisti, per la verità un po’ borderline, particolarmente preparati all’operazione. Si tratta di uomini che operano al confine tra la finanza e la nuova economia immobiliare, ben inseriti nei meccanismi della pubblica amministrazione, con grande capacità di persuasione, e circondati da collaboratori fidati, flessibili e non di rado abbastanza spregiudicati. A scavare negli intrecci della cronaca si scopre che ricorrono spesso gli stessi nomi, perché non è così facile avviare, sostenere e portare a compimento grandi operazioni immobiliari. Occorrono persone esperte e collaudate. La Sopaf compare raramente in prima persona, ma è spesso presente e attiva con plusvalenze di tutto rispetto.

Brillante e non alla portata di tutti è ad esempio l’operazione che nel luglio 2005 porta Sopaf a partecipare, tramite una controllata, al “private placement”, così viene chiamata la messa a disposizione di quote, del fondo immobiliare chiuso denominato “Fondo Immobili Pubblici”, FIP, del Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’offerta, irrevocabile e subito accolta, corrisponde ad un investimento di tutto rispetto, 57 milioni di euro. Erano i tempi della finanza creativa, precedenti la conversione antimercatista del ministro Tremonti: lo stato cartolarizzava gli immobili pubblici, incassava denaro fresco e il rischio era a carico delle banche e degli investitori istituzionali. In realtà, soprattutto all’inizio, qualcuno fece degli ottimi affari, i prezzi erano buoni. Poi i prezzi salirono per effetto della bolla immobiliare, il meccanismo si incagliò e allo stato restava l’incombenza di ripianare le perdite.

 

Oggi la chiusura definitiva di tutta quella grande operazione di “sicurization” sembra sia costata alla comunità nazionale 1,7 miliardi di euro. In compenso il patrimonio pubblico è più povero, alcuni enti che avevano la propria sede in proprietà sono costretti a pagare l’affitto, i problemi sociali, primo fra tutti quello della casa, sono tutt’altro che risolti. E’ innegabile che nel grande affare della valorizzazione immobiliare gli interessi delle comunità residenti sono poco e mal tutelati.

 

Negli ultimi anni le città hanno dunque ben nutrito il sistema finanziario. E’ difficile quantificare, ma non c’è analista che, nel commentare le vicende dei paesi che via via sono entrati in crisi dal settembre 2008, non faccia riferimento alla caduta dei prezzi degli immobili, ai pignoramenti, alla paralisi dell’industria edilizia. Il primo paese europeo ad entrare ufficialmente in recessione è stato l’Irlanda: la tigre celtica, sempre in crescita dal 1983, dove la crisi del settore, ancora nel 2007 in crescita del 7%, ha coinvolto da subito l’intero sistema. La prima cosa che stupisce è che il processo di valorizzazione sembra non avere limiti. La valorizzazione del suolo come puro capitale fittizio è un problema di cui le politiche del territorio non possono non tenere conto: un fondo viene valorizzato, poi venduto, chi acquista fa un nuovo piano e valorizza ulteriormente, le banche asseverano e finanziano il nuovo piano, su questo si raccolgono risorse nel mercato obbligazionario, con queste risorse si fanno altre acquisizioni… E la giostra sembra non avere fine. Se non si vende ai poveri c’è il lusso nazionale, sempre ben disposto all’investimento, se questo viene meno ci sono sempre i russi, o i cinesi; se vengono meno anche questi acquirenti restano pur sempre gli Emirati Arabi, i fondi sovrani.

 

Il suolo si presta particolarmente a favorire la cosiddetta leva finanziaria: da qui nasce la tendenza alla bolla speculativa e alla concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di istituzioni finanziarie, banche, assicurazioni, fondi immobiliari, fondi sovrani. Da qui, dunque, deriva il rischio di essere colonizzati da capitali giunti da altre parti del mondo che una volta esaurito il processo di valorizzazione migrano altrove verso altri territori. E’ un peccato che il dibattito sull’urbanistica milanese sia inchiodato sull’alternativa costruire molto/costruire poco, perchè Milano corre invece due rischi molto concreti: l’ingovernabilità e l’immobilismo. L’epifenomeno della crisi, forse, è proprio Santa Giulia, o Montecity, la più imponente operazione di valorizzazione immobiliare del nostro tempo. Vedere per credere!

Mario De Gaspari



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